• 15 Dicembre 2025 14:22

Bersaglieri negli anni sessanta

DiDaniele Carozzi

Ott 28, 2025

Noi, che si doveva scattare e correre per ogni spostamento in caserma mentre gli automezzi andavano al passo; noi, che se ti chiedevano l’età dovevi rispondere con quella della costituzione del Corpo, e se sbagliavi ti bruciavi la libera uscita.

Noi, che sbalzavamo e strisciavamo con il “passo del leopardo” nel fango, nella polvere o sotto il sole cocente, accanto al carro armato. Poi, giusto per provare un po’ di ebbrezza, giù, a buttarsi fra i cingoli, faccia a terra, in attesa di vedere la luce dall’altra parte. Sempre noi, a correre ed esibirci in salti mortali sulla piazza d’armi al ritmo della fanfara. Fino allo sfiancamento.

E ancora noi, in cucina, a lavare marmitte con un dito di grasso, a pulire la gavetta con l’acqua gelata delle fontanelle usando il terriccio, o a tentare di far cadere il fez scattando sull’attenti per guadagnare un permesso di 24 ore. Ma il fez pareva maledettamente incollato alla nuca.

La disciplina era quasi ferrea. Bastava un ciacolare insistente in camerata dopo il silenzio, e ti sbattevano al passo di corsa con gli anfibi slacciati e il Garand a spall-arm, che ad ogni passo ti massacrava il deltoide.

Al caporale istruttore si dava del lei. Una risposta disinvolta a un sottufficiale, e passavi la notte in cella. Sadismo? Crudeltà?
No. Semplicemente eravamo soldati speciali. I migliori, ci veniva ripetuto dalla prima ora del primo giorno. E i migliori soldati devono essere addestrati per affrontare le condizioni estreme, le difficoltà impreviste, la fatica fisica e psichica. Altrimenti in guerra ci lasciano la pelle o fanno bucare quella degli altri. Sì, perché pare che le guerre abbiano una certa difficoltà a passare di moda.

Alla sera eri così stanco che non trovavi voglia né tempo per propinare scherzi idioti al commilitone con il quale durante il giorno avevi sofferto, bestemmiato, gioito o sudato sotto lo zaino affardellato.

E ogni mattina alle 7 eri lì, con qualsiasi clima, a veder issare il tricolore, a cantare l’inno nazionale ed a convincerti, se già non lo eri, che quel pezzo di stoffa al vento doveva pur significare qualcosa di importante. Tanto importante da essere disposti ad azioni rischiose o a farsi scannare per salvaguardare un bene superiore, vuoi che si chiami onore, Patria, istituzioni o, come dicono gli americani, “non per prendere la collina, ma per i tuoi compagni”.

La naja in un reggimento operativo bersaglieri ci ha incarnato il rispetto, formato il carattere, insegnato a convivere con il laureato e il pecoraio, con l’ufficiale ottuso tutto “regolamento e punizioni” e con l’ufficiale che avresti voluto come fratello maggiore o amico, perché ti ha trasmesso valori, esempio ed esperienze di vita. Quella vita che, nella famiglia e nella professione avresti poi affrontato con maggiore responsabilità, impegno, ottimismo e senso del dovere.

*Immagini tratte da Facebook